Accolto il ricorso da parte del difensore Gabriele Lamanuzzi
4 Ottobre 2023
Accolto il ricorso da parte del difensore Gabriele Lamanuzzi contro un accertamento di presunta distribuzione di utili in capo ai soci di società di capitali a ristretta base azionaria e respinto l’appello della Agenzia delle Entrate.
Con sentenza n.25/2023 depositata in data 27 gennaio 2023 e dunque passata definitivamente il giudicato, la Corte di Giustizia Tributaria di II grado del Piemonte ha respinto l’appello della Agenzia delle Entrate e confermato l’accoglimento del ricorso esperito dal difensore Gabriele Lamanuzzi avverso un accertamento di presunta distribuzione di utili in capo ai soci di società di capitali a ristretta base azionaria.
La procedura di contenzioso durata 4 anni si è conclusa con il riconoscimento di un importante principio fatto valere dalla difesa e consistente nell’obbligatorietà per gli Uffici Accertatori di provare comunque la reale ed effettiva percezione degli utili non dichiarati in via presuntiva dalla società di capitali accertata in capo ai soci o ex-soci della società stessa.
La sentenza ha riconosciuto pienamente le ragioni della difesa anche alla luce della recente ordinanza della Cassazione (21356/2022) la quale ha stabilito che comunque il socio destinatario dell’accertamento conserva il diritto di eccepire non solo ragioni afferenti, ad esempio, alla sua estraneità rispetto alla gestione sociale ma anche motivi riferiti alla infondatezza/illegittimità dell’accertamento “madre”.
La pronuncia è di estrema importanza in quanto viene ad arginare la deriva giurisprudenziale volta a replicare nelle società di capitali a ristretta base il principio di tassazione per trasparenza, tipico delle società di persone. Questa trasposizione di regole proprie della trasparenza al di fuori della casistica disciplinata negli articoli 5 e 116 del Tuir ha sempre suscitato molte perplessità.
Lo stesso principio di cristallizzazione del giudicato in capo alla società di capitali sostenuto dall’Agenzia Entrate è stato messo in discussione in quanto il socio deve comunque essere messo in condizione di contestare la rettifica ricevuta anche in relazione al quantum rettificato in capo alla società partecipata.
La sentenza è importante anche alla luce della legge 130/2022 che ha modificato il processo tributario ed è intervenuta in modo sostanziale sul tema dell’onere della prova.
La nuova normativa sancisce infatti l’onere della prova a carico del Fisco con ampio raggio d’azione. Infatti decisiva e dirimente appare la modifica introdotta dalla riforma del processo tributario (legge 130/2022) nell’articolo 7 del Dlgs 546/1992 dedicato ai poteri del giudice tributario. Con l’introduzione del comma 5-bis (con decorrenza dal 16 settembre 2022), va colta una distinzione, non soltanto lessicale, ma anche di contenuti perché non si tratta di una mera facoltà, ma piuttosto di un “obbligo” cui il giudice tributario non può sottrarsi, a fronte, naturalmente, dello specifico motivo di impugnazione formulato nel ricorso. In sostanza il giudice tributario, nell’ambito del “thema decidendum” delimitato dalle parti e, segnatamente, dal contribuente, deve verificare pertanto che il fisco abbia adempiuto all’onere probatorio posto a suo carico. Di conseguenza l’ufficio fiscale accertatore è gravato dell’onere probatorio già durante la fase istruttoria. Non si tratta quindi di una seconda chance concessa in giudizio agli uffici, in quanto la prova su di essi incombe fin da prima.
Tale ribadita prescrizione risulta pienamente applicabile nella fattispecie della «ristretta base societaria» e della «relativa presunzione di distribuzione degli utili» che da sempre non trova e non ha mai trovato alcun fondamento normativo “sostanziale”. In estrema sintesi la “probatio diabolica”, tradizionalmente posta a carico dei contribuenti, dopo la riforma non potrà che incombere sugli uffici.
Di conseguenza, nell’ipotesi di giudizi vertenti su accertamenti degli utili “extracontabili” l’Ufficio sarà onerato della prova in primo luogo, dell’avvenuta distribuzione, da parte della società, dei maggiori utili accertati (e a loro volta presunti), e, successivamente, dell’avvenuta percezione, da parte dei soci, di quei maggiori utili. Questa nuova ripartizione fa sì che l’Amministrazione finanziaria, onerata di quella dimostrazione, dovrà attivare strumenti quali le indagini di natura finanziaria o patrimoniale, dalle quali emerga l’esistenza di un imponibile potenzialmente sottratto a imposizione (si pensi a versamenti non giustificati), che possa giustificare la percezione della quota parte del maggior utile accertato in capo alla società.
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